giovedì 3 luglio 2014

un bell'articolo sui lupi di Roberto Marchesini

Il lupo come base sicura Abituati a pensare al lupo come a una minaccia, al punto da assurgerlo a protagonista assoluto del male o del rischio nell'immaginario fiabesco, non ci rendiamo conto che in realtà questo è un retaggio attribuibile alla cultura pastorizia sviluppatasi nel Mediterraneo postneolitico, dove il lupo rappresentava un pericolo soprattutto per gli interessi economici di un uomo intento a deforestare per ricavare pascoli per le proprie greggi. A conforto della posteriorità di tale inimicizia, vi è il fatto che il cane, il primo degli animali ad aver intrapreso la strada della domesticazione, discende proprio dal lupo: il che significa che per molti secoli uomini e lupi hanno convissuto fianco a fianco in una specie di consorteria ecologica riconducibile al fatto di essere molto simili dal punto di vista sociale e adattativo ma complementari nelle prestazioni percettive ed operative. Il lupo, grazie a un olfatto molto raffinato e un udito assai sensibile rispetto ai piccoli rumori, è in grado di diventare un'ottima sentinella nei bivacchi di fortuna o nei primi accampamenti e un'insostituibile guida nei tragitti e nella ricerca. Per l'essere umano che si avventura negli spazi aperti delle steppe euroasiatiche e poi nelle foreste fredde di questi continenti, abbandonando la culla africana, non vi è dubbio che il lupo sia stato il più importante riferimento da seguire. Se, come sostengo, la domesticazione ha inevitabilmente una forte base epimeletica, non vi è dubbio altresì che l'ingresso del lupo all'interno delle comunità umane abbia costituito l'emergenza di una base-sicura eterospecifica per i nuovi nati, da cui l'importanza della dimensione di attaccamento. Non vi è dubbio che la presenza del lupo-cane all'interno della comunità umana abbia rappresentato un forte cambiamento nella vita dell'uomo, una metamorfosi di gran lunga anteriore alla rivoluzione del Neolitico. Se consideriamo il quotidiano del Paleolitico, come un'esistenza fortemente influenzata dal contesto esterno, diviene evidente l'importanza di questa base-sicura accanto all'uomo in termini di sicurezza, di monitoraggio dell'ambiente e di segnalazione di eventuali pericoli. Possiamo dire che solo la presenza del lupo-cane permette all'essere umano di dormire sonni tranquilli e di abbandonarsi pienamente a un'ontologia dell'onirico, che comprende non solo la tendenza al sogno ma altresì l'utilizzo di prassi ipnotiche. Ma c'è un altro aspetto che mi preme sottolineare: è evidente che per i cuccioli d'uomo che nascono in una comunità mista che comprende anche canidi questi vengono avvertiti come elementi referenziali ossia basi-sicure in grado di favorire (come tutte le basi-sicure) processi di centrifugazione esperienziale, con la differenza che l'eterospecifico introduce nuove coordinate di centrifugazione, vale a dire permette esperienze che l'essere umano non avrebbe mai potuto fare in una condizione di chiusura nella specie. L'essere umano acquisisce modelli comportamentali non-umani attraverso la mimesi e altre modalità di apprendimento sociale, ma altresì vive esperienze grazie al volano centrifugativo eterospecifico che gli allargano l'orizzonte ontogenetico. La partnership con il lupo determina inoltre processi di esternalizzazione operativa che consentono all'essere umano processi di cooptazione performativa, esattamente come l'utilizzo di uno strumento non solo libera la mano dell'uomo da un'attività ma le allarga il campo operativo perché introduce nuove prassie. La disgiunzione tra l'ambito motivazionale e il bisogno fisiologico poggia anche su questo esonero consentito dalla presenza del lupo-cane, che da una parte libera risorse motivazionali vincolate al bisogno dall'altra permette nuove declinazioni alle strutture motivazionali stesse. Agli occhi dell'uomo contemporaneo - forviato da una visione antropocentrica e sciovinista - è inammissibile il solo ipotizzare che il successo della nostra specie debba essere attribuito a qualcuno che non sia l'uomo stesso. In realtà se ritorniamo indietro di appena un secolo, quando ancora gran parte delle attività dell'uomo e la sua stessa sicurezza era affidata al cane nonché ad altri animali, riusciamo a capire questo bisogno che ancor oggi si manifesta nella persona di cercare nell'eterospecifico una base sicura e di relazionarsi con esso attraverso una dimensione di attaccamento, basata sulla conferma, sulla costruzione di nuovi campi performativi, sull'affidarsi al cane come guida, sull'imparare attraverso il comportamento del cane e sulla realizzazione di attività ibride. Guardiamo diversamente il lupo perché nei suoi occhi si nasconde gran parte della nostra umanità, cosicchè il solo perderne il significato vuol dire rinunciare a comprendersi.

domenica 22 giugno 2014

PRONTUARIO SOCCORSO ANIMALI OIPA

PRONTUARIO SOCCORSO ANIMALI (IN BREVE) Se si trova un cane o un gatto ferito Chi chiamare: - Servizio veterinario dell’ASL di competenza territoriale (per animale non di proprietà). Il mancato intervento è denunciabile perché si tratta di un pubblico servizio - Medico Veterinario (anche libero professionista) ha il dovere di assistenza previsto dall’articolo 18 Codice Deontologico della categoria Se si trova un animale selvatico in difficoltà Chi chiamare: - Polizia Provinciale competente per il territorio (+ servizio veterinario ASL se l’animale selvatico è considerato pericoloso) - Corpo forestale dello Stato al numero unico 1515 - Vigili del fuoco per soccorsi particolari (tetti, albero, cunicoli) al numero nazionale 115 - Guardia Costiera-Capitaneria di Porto per animale in mare al numero nazionale 1530 Se si vede abbandonare un animale Cosa fare: - Raccogliere tutti gli elementi necessari ad individuare i responsabili dell’abbandono (numero di targa ecc), qualora non siano noti Chi chiamare: - Autorità giudiziarie (Carabinieri 112, Polizia di Stato 113, Corpo forestale dello Stato 1515, Polizia locali) Se si vede un animale maltrattato Cosa fare: - Raccogliere il più possibile prove (comprese foto, video, documenti, testimonianze) per comprovare il maltrattamento e denunciarlo in forma scritta presso una Forza di Polizia. - Per porre fine al maltrattamento, se in corso e prosegue, chiedere l’intervento urgente anche solo telefonicamente delle Forze di Polizia. Chi chiamare: - Corpo forestale dello Stato 1515, Carabinieri 112, Polizia di Stato 113, Guardia di Finanza 117, Polizia Locale chiamando il centralino di Comune o Provincia Se si trova un cane vagante (non ferito) Cosa fare: - Avvicinarlo con estrema prudenza e calma per non spaventarlo, mai in maniera troppo diretta e rapida, e controllare se è provvisto di medaglietta e/o tatuaggio sulla coscia destra o nell’orecchio destro. Chi chiamare: - Se sprovvisto di medaglietta con numero telefonico contattare il Servizio veterinario dell’ASL di competenza territoriale o denunciarne il ritrovamento presso una forza di Polizia che provvederà a consegnarlo al canile municipale. - Se si trova su una strada o nei pressi chiamare immediatamente la Polizia Stradale presso la Polizia di Stato (113) o, per le strade urbane, la Polizia Locale presso il centralino del Comune o della Provincia. Se si trova un gatto vagante (non ferito) Cosa fare: - L’iter da seguire è analogo a quello del ritrovamento del cane vagante (non ferito), ma è necessario appurare con la massima attenzione che il gatto sia stato effettivamente smarrito o abbandonato e non sia membro di una colonia felina o semplicemente un girovago di passaggio. PRONTUARIO SOCCORSO ANIMALI (PIU' APPROFONDITO) Se si trova un cane o un gatto ferito Bisogna avvicinarlo sempre, se le condizioni lo permettono, con grande cautela e calma. In mancanza di un numero di pronto soccorso specifico e pubblico per animali feriti, ce ne dovrebbe essere uno per ogni canile pubblico, è necessario rivolgersi al Servizio Veterinario dell’ASL di competenza territoriale se l’animale non è di proprietà (in questo caso l’affidatario dovrà rivolgersi al suo medico veterinario). I Servizi Veterinari delle ASL devono avere reperibilità anche notturna e festiva e sono obbligati a intervenire per il ritiro dell’animale non di proprietà. Il mancato intervento è denunciabile perché si tratta di un pubblico servizio. Il medico veterinario, anche libero professionista, ha il dovere di assistenza previsto dall’art. 16 del codice deontologico veterinario: “Il Medico Veterinario ha l´obbligo, nei casi di urgenza ai quali è presente, di prestare le prime cure agli animali nella misura delle sue capacità e rapportate allo specifico contesto, eventualmente anche solo attivandosi per assicurare ogni specifica e adeguata assistenza”. Specifiche locali Il numero 118 fornisce assistenza indiretta per cani o gatti feriti solamente in alcune regioni / province / comuni. Se si trova un animale selvatico in difficoltà La fauna è patrimonio indisponibile dello Stato e questa funzione è esercitata anche tramite le Regioni-Province Autonome e le Province. Sono queste ultime che devono avere in proprio un Centro o avvalersi dell’attività di terzi, per il recupero di questi animali. Quindi, nel caso in cui si trovi un animale selvatico in difficoltà, bisogna contattare la Polizia Provinciale competente per territorio, oppure il Corpo Forestale dello Stato al numero unico nazionale 1515, che vi metterà in contatto con la stazione del Corpo Forestale più vicina al luogo di ritrovamento. Per soccorsi in situazioni particolari (tetti, alberi, cunicoli) chiamare i Vigili del Fuoco al numero nazionale 115. Se l’animale selvatico è in mare chiamare la Guardia Costiera-Capitaneria di Porto al numero nazionale 1530 che per cetacei e tartarughe è in collegamento con strutture di ricovero e cura. Se l’animale selvatico è considerato pericoloso, oltre a un forza di Polizia si deve chiamare il Servizio Veterinario ASL. Se si vede abbandonare un animale L'abbandono di animali è un reato. Chi abbandona un animale commette un reato e in base alla Legge 189/2004 che ha riformato l'articolo 727, prima parte, del Codice Penale, può essere punito con l’arresto fino a un anno o con un'ammenda sino a 10.000 euro. Se assisti a un caso di abbandono fai sentire la tua voce, e denuncia alle autorità giudiziarie (Carabinieri / Polizia di Stato / Corpo Forestale dello Stato / Polizie Locali) i colpevoli. Qualora non siano noti, raccogli tutti gli elementi necessari ad individuare i responsabili dell'abbandono (numero di targa, ecc.). Se si vede un animale maltrattato Raccogliere il più possibile prove (comprese foto, video, documenti, testimonianze, ecc.) per comprovare il maltrattamento e denunciarlo in forma scritta presso una Forza di Polizia (Corpo Forestale dello Stato 1515, Carabinieri 112, Polizia di Stato 113, Guardia di Finanza 117, Polizie locali (Municipali-Provinciali) chiamando il centralino di Comune o Provincia) ai sensi di uno o più articoli del Codice Penale come introdotti dalla Legge 189/2004. Per porre fine al maltrattamento, se in corso e prosegue, chiedere l’intervento urgente anche solo telefonicamente (che dovrebbe essere accompagnato da un atto da parte delle Forze di Polizia intervenute di sequestro penale dell’animale ai sensi del Codice di Procedura Penale. Se si trova un cane vagante (non ferito) E’ necessario avvicinarlo con estrema prudenza e calma per non spaventarlo, mai in maniera troppo diretta e rapida, e controllare se è provvisto di medaglietta e/o tatuaggio sulla coscia destra o nell’orecchio destro (potrebbe avere anche solo il microchip ma questo si può capire solo con un lettore apposito). In assenza di medaglietta recante un numero di telefono o di altra informazione per risalire al proprietario, ai sensi delle leggi regionali che hanno recepito la Legge quadro nazionale n. 281/1991 sulla Tutela degli Animali d’affezione e la Prevenzione del randagismo, è obbligatorio denunciarne il ritrovamento presso una forza di Polizia oppure al Servizio Veterinario dell’ASL. La denuncia certificherà peraltro la condizione di cane vagante ritrovato e servirà a perseguire il responsabile dell’eventuale abbandono. Il cane vagante sarà consegnato, unitamente al verbale della Pubblica Autorità, alla struttura di accoglienza - pubblica o privata convenzionata - competente per territorio ovvero al canile municipale o al canile convenzionato con il Comune sul cui territorio è stato ritrovato il cane. Potrà in seguito essere la struttura a predisporre un affidamento provvisorio (in attesa delle indagini sul ritrovamento frutto di un abbandono o uno smarrimento) ovvero, dopo i tempi stabiliti dalla Legge, un futuro affidamento definitivo. Se il cane si trova su una sede stradale o nei pressi e può essere un pericolo per sé e per gli altri chiamate immediatamente, per evitare un possibile incidente automobilistico, la Polizia Stradale presso la Polizia di Stato (113) o, per le strade urbane, la Polizia Locale presso il centralino del Comune o della Provincia. Se si trova un animale domestico in difficoltà Valgono le indicazioni fornite per il cane vagante ma per soccorsi in situazioni particolari (tetti, alberi, cunicoli, ecc.) chiamare i Vigili del Fuoco al numero nazionale 115. Se si trova un gatto vagante (non ferito) L’iter da seguire è analogo a quello del ritrovamento del cane vagante (non ferito), ma è necessario appurare con la massima attenzione che il gatto sia stato effettivamente smarrito o abbandonato e non sia membro di una colonia felina o semplicemente un girovago a passeggio. Attenzione: a differenza del cane, il gatto non ha obbligo di iscrizione all’anagrafe e quindi non deve avere un contrassegno di riconoscimento. Solo i gatti che hanno il “Passaporto europeo per animali domestici” devono avere obbligatoriamente un microchip.

sabato 21 giugno 2014

Randagia partorisce in capannone, la Asl non interviene

ecco l'articolo che pubblicheremo per quello che è successo.La piccola Layla,l'abbiamo chiamata così, volpina di un anno circa, probabilmente abbandonata perchè incinta, si rifugia in un capannone, si nasconde sotto una catasta di pedane e dà alla luce i suoi 4 cuccioli. Il proprietario della struttura ,resosi conto della sua presenza, chiama i volontari dell'Oipa per avere aiuto in quanto nel capannone c'è un costante flusso di mezzi pesanti e la cagnolina con i suoi cuccioli sono in pericolo di vita . I volontari ,recatisi sul posto,sotto un terribile temporale, verificano il reale pericolo che corre la piccolina,che cerca invano di proteggere con il suo corpo i cuccioli anche dalla violenza della pioggia. Così, in accordo con il proprietario dello stabile che non ha alcuna possibilità di tenere Layla e i suoi cuccioli, vengono contattati i vigili urbani, come prevede la legge, che suggeriscono di chiamare direttamente la ASL perchè le loro richieste non vengono ascoltate. Chiamata la Asl e spiegata la situazione , il funzionario dapprima afferma “che loro non possono intervenire perchè la cagnetta è in una proprieta' privata” e all'insistenza dei volontari ribadisce poi che “siete voi volontari che dovete occuparvi di questi casi, portando a casa vostra a rotazione i cani del territorio” Dopo l'ennesimo tentativo di convincerlo che la situazione è grave e che la piccola non può essere lasciata lì,il funzionario mentre gli viene passato il proprietario del capannone, rapidamente riaggancia il telefono e chiude la conversazione. Così, come sempre, solo aggressioni verbali e mancanza di rispetto , da parte di persone pagate per dare spiegazioni e informazioni agli utenti, nessun rispetto della legge, e nessun rispetto del cittadino e dei volontari. I volontari hanno preso mamma e cuccioli e li hanno portati in una pensione a loro spese. Magari le associazioni potessero disporre di una struttura anche piccola,da utilizzare, come più volte richiesto al nostro comune per poter tenere in stallo i cani in pericolo o malati , o in attesa di adozione, quanti problemi in meno ci sarebbero. La nostra miope amministrazione, preferisce, anche in questi tempi di profonda crisi, spendere soldi per convenzioni con privati, piuttosto che creare o adattare qualche struttura già esistente,da far condurre alle associazioni di volontariato. Come Oipa abbiamo offerto e offriamo piena collaborazione, da tanti anni ci facciamo carico, in maniera del tutto gratuita, con l'aiuto di cittadini sensibili,sempre più numerosi in verità, di centinaia di animali randagi per evitarne la morte, ci adoperiamo per le adozioni, facciamo piccole campagne di sensibilizzazione, cerchiamo di operare per migliorare la convivenza tra uomini e animali, insegnando a tutti il rispetto delle regole. Ma, senza il pieno appoggio delle istituzioni, le associazioni animaliste possono fare ben poco. Troviamo avvilente e ingiusto il disinteresse da parte di chi per lavoro è tenuto ad intervenire per la tutela e benessere degli animali, Layla e i suoi cuccioli sarebbero morti. Ora la piccola dovrà restare in pensione finchè i suoi cuccioli non saranno svezzati,le istituzioni l'hanno abbandonata, chiediamo a tutti un aiuto anche piccolo per lei, il suo mantenimento, per i vaccini, la sterilizzazione successiva, le cure dei cuccioli e tutto quello di cui questa "famigliola un po’ speciale " ha bisogno. Grazie se volete aiutare Layla e i suoi cuccioli contattate pure me che provvederò con OIPA Andria al suo sostentamento,grazie ancora a breve foto di Layla con i suoi cuccioli

lunedì 16 giugno 2014

l'asl Andria e la sua incompetenza

oggi parliamo dell'ASL Andria. abbiamo chiamato i vigili per segnalare una cagnolina che aveva partorito 4 cuccioli nel cortile di un deposito.la prima incompetenza è proprio loro che ci dicono di chiamare l'asl mentre sono loro che devono fare la segnalazione altrimenti non escono neanche.vabbe,tralasciamo e chiamiamo l'asl che non ne vuole sapere dicendo che avendo partorito in una proprietà privata è a carico del proprietario.avete capito bene,se un randagio partorisce nel vostro giardino è vostro e ci dovete pensare voi.facciamo anche notare che con questo tempo(diluviava)i cuccioli stavano sotto l'acqua e la mamma poverina gli si metteva sopra prendendosela tutta per non farli bagnare o annegare ma niente,sordità totale. il modo di combattere il randagismo dell'asl è veramente a dir poco schifoso e vergognoso.proclamano di sterilizzare animali a tappeto mentre in realtà non fanno altro che sbattersene appena possono,secondo voi lasciando quella cagnolina in quel cortile che sarebbe successo???se i cuccioli sarebbero sopravvissuti crescendo se ne sarebbero andati in giro e poi???altri cuccioli che ne avrebbero generati altri e altri ancora.tutto perchè una cagnolina ha partorito nel primo posto tranquillo che ha trovato ed essendo una proprietà privata l'asl se ne sbatte altamente???? beh,se questo è il vostro modo di lavorare potete anche cambiare mestiere,incompetenti

domenica 8 giugno 2014

kanada e Vagabondo felicemente adottati

dopo qualche giorno di assenza oggi sono felice di comunicare che i due randagi per cui eravamo tanto in apprensione sono arrivati nelle loro nuove case con famiglie felici di accoglierli nelle loro vite.sono sempre dell'idea che i cani liberi stanno benissimo ma quando sono in pericolo estremo per colpa dell'uomo bestia è meglio fare il possibile per trovargli un posto sicuro. kanada e vagabondo ora hanno finalmente una casa. kanada stava su una strada a scorrimento veloce e non avrebbe avuto lunga vita,essendo una cucciola non capiva la pericolosità di attraversare o inseguire mezzi che sfrecciavano lungo la strada.
vagabondo era un randagio che viveva liberamente in campagna finchè un vigliacco non gli ha sparato in faccia facendogli perdere la vista.si è lasciato andare essendo abituato a vedere e di colpo non vedere piu nulla e in canile sarebbe morto di depressione entro breve tempo.ora avrà finalmente un grande spazio tutto suo e una mamma che lo accudirà come merita.
ringrazio gli adottanti e tutti quelli che si sono adoperati per riuscire a rendere possibile l'adozione di questi due randagi,sopratutto Vagabondo che porteremo sempre nel cuore. ciao Vagabondo,ciao Kanada,buona vita nuova a tutti e due

mercoledì 28 maggio 2014

IL CANE DI QUARTIERE

oggi parliamo del cane di quartiere che in tanti chiamano randagio ma che tutto sommato non lo è.il cane di quartiere a differenza di un normale randagio è ben integrato con la cittadinanza(anche se purtroppo c'è sempre qualcuno a cui non va giu che giri liberamente)se ne va a spasso tranquillo per la sua zona e generalmente non disturba altra gente con cani a passeggio.alcune volte lo fa puramente per questioni territoriali e questo disturba tali persone scambiandolo per un cane aggressivo che è totalmente un altra cosa.ma io sono dell'idea che il cane di quartiere serva molto sopratutto in zone abitate frequentate da branchi che possono essere pericolosi,la sua presenza nella zona li tiene lontani e questo le persone non lo capiscono. altra cosa che mi preme dire e che a volte si insiste per cercargli una casa che loro assolutamente non vogliono,ho gia visto cagnolini che si stavano integrando benissimo con la gente della zona che se ne prendeva cura essere portati via con la scusa di trovargli casa ed ora dove sono???rinchiusi in un canile sperando che un giorno prima o poi ne possano uscire. credetemi,il cane di quartiere è una figura in crescita nel nostro paese,accogliamoli come si deve,ve ne saranno grati e saranno contenti di vivere LIBERI

martedì 27 maggio 2014

DAL WELFARE AL WELL BEING un bell'articolo di Roberto Marchesini

DAL WELFARE AL WELL BEING "...Molte persone non si rendono conto di maltrattare il proprio compagno eterospecifico attraverso coccole, carezze e cibo..." di Roberto Marchesini Quando la Commissione Brambell fu chiamata a stendere delle coordinate di welfare animale in risposta alle giuste critiche che il libro di Ruth Harrison, "Animal Machine" (1964), aveva mosso in merito a come venivano trattati gli animali all'interno degli allevamenti intensivi - situazione che non era cambiata quando trent'anni dopo pubblicavo il mio saggio "Oltre il muro" - era ovviamente concentrata sulle prassi di stabulazione e gestione degli animali cosiddetti da reddito, in una logica non di mettere in discussione dette pratiche ma di migliorare le condizioni di vita degli animali negli allevamenti. Per questo fu conseguente soffermarsi sulle necessità di base o "libertà fondamentali" che dovevano venir assicurate agli animali. Anche se i dettati del Brambell Report, pubblicato nel 1965, grazie all'intervento di esperti nel comportamento come W.H. Thorpe, non trovarono di fatto una traduzione, ciò nondimeno rappresentano per quegli anni una piccola rivoluzione, anche perchè tra le diverse libertà di ordine fisiologico s'inseriva specifico riferimento all'espressione delle caratteristiche etografiche. Purtroppo con il tempo si è andata consolidando l'idea che fosse sufficiente assicurare a un'animale uno stato di welfare (dieta sufficiente e adeguata, riparo da intemperie, assenza di stress o di malattie, libertà dalla sofferenza e dalla paura) per dare benessere ovvero che welfare e benessere fossero la stessa cosa. Se associamo tale lettura al pietismo zoofilo e all'antropomorfismo tipico della cultura urbana della seconda metà del Novecento, ecco che sinonimo di benessere è diventato assenza da qualunque sollecitazione problematica, in pratica una sorta di gabbia dorata all'interno della quale racchiudere l'eterospecifico. Questo paradosso è stato peraltro peggiorato dall'approccio animalista degli anni '80 che, pur importante nella discussione degli "interessi animali" e nella proposta di assegnare all'eterospecifico lo status di "paziente morale", si è concentrato soprattutto su coordinate normative di astensione (cosa non bisognava fare) piuttosto che definire delle coordinate propriamente prescrittive (cosa bisognava fare) per assicurare il benessere animale. Si è consolidata pertanto l'idea che per assicurare il benessere fosse utile ed esaustivo liberare il soggetto dai carichi del vivere, ossia allontanarlo da qualunque condizione di stress. Ma così facendo ci dimentichiamo che il benessere si gioca su un punto di equilibrio dinamico (non omeostatico) tra entrate, in termini di gratificazioni e appagamenti, ed uscite, in termini di fatica, stress e quant'altro. Dal momento che non è possibile azzerare nella vita di un individuo le uscite, giacché stress, frustrazioni e fatica fanno parte della vita, è evidente che privarlo di entrate significa che inevitabilmente, nel giro di poco tempo, il saldo va in perdita. Se fosse vero che basta togliere le uscite per assicurare benessere, una zebra dello zoo dovrebbe essere l'animale più felice di questa terra. Ha sempre cibo assicurato, può dissetarsi ad libitum, è libero da infezione e infestazioni, non si trova a sopportare sofferenza fisica o paura, elementi stressori sono, tutto sommato, pochi... tutte condizioni che in natura non potrebbe certo ritrovare. Se le cose stessero veramente così, mettendo ipoteticamente lo zoo in rapporto diretto con la savana, dovremmo aspettarci che tutte le zebre dalla savana si trasferiscano allo zoo. Viceversa, l'unica zebra dello zoo si dirigerebbe senza dubbio nella savana. Ciò significa che uno stato di welfare non compensa una mancanza di espressione delle coordinate specie specifiche. Una considerazione che era ben chiara anche ai primi etologi. Qualunque animale è disposto a sopportare fatica, stress, fluttuazioni emozionali e - mi azzardo a dire in tutta sincerità - anche un po' di sofferenza fisica, pur di vivere una vita piena, ovvero di poter raggiungere i target previsti dal suo assetto motivazionale (il concetto di gratificazione) e poter esprimere fino a sazietà (il concetto di appagamento) le sue coordinate motivazionali. Ecco allora che l'analisi motivazionale - ossia l'inerenza, vale a dire ciò che è "proprio di quel soggetto" in relazione alla specie, alla razza e all'individuo - sta al centro di quel benessere animale proattivo (basato sul fare e non sull'astenersi dal fare) che viene chiamato well being e che, senza antropomorfismo, potremmo chiamare felicità di specie, ovvero ciò che qualunque soggetto caratterizzato da quei predicati naturalmente sceglierebbe di fare, perché è nella sua natura, vale a dire risponde alle sue vocazioni e alle sue doti. Partendo dalle motivazioni è pertanto doveroso, se si vuole assicurare benessere, dare al soggetto l'opportunità di esprimerle in un contesto e in una serie di attività coerenti. Molte persone non si rendono conto di maltrattare il proprio compagno eterospecifico attraverso coccole, carezze e cibo, mettendolo sotto una campana di vetro e lasciandolo nell'inanizione espressiva. Come ho già scritto, antropomorfizzare non significa viziare ma maltrattare un eterospecifico. Quando poi ci rivolgiamo al cane - un animale per natura desideroso di operare e di collaborare - ecco che il pietismo diventa la forma più subdola di maltrattamento. Per un cane le coccole e le affettuosità rappresentano preliminari, utili per concertarsi, ma poi l'espressione gratificante e appagante sta in un non detto a parole che tuttavia è esplicito negli occhi del cane: "bene, ma allora... cosa facciamo?". Se non capiamo questo non comprendiamo il perché di gravi stati di disagio nell'apparente opulenza del quotidiano o il rischio di quelle derive comportamentali (che io evito di stigmatizzare in patologie) che caratterizzano i cani non rispettati nel loro etogramma e nelle loro disposizioni attitudinali. Il welfare tradizionale non compensa tali mancanze anzi, più diamo welfare più il soggetto si aspetta di vedere esauditi i suoi desideri ovvero le sue espressioni motivazionali. Non mi stupisce pertanto che i cani che stanno meglio sono quelli che, pur nella fatica e negli stress, fanno attività e fanno quelle attività coerenti con il loro assetto attitudinale. E' necessario pertanto rivedere gran parte della lettura del benessere e dell'interpretazione degli stati di disagio o delle derive, allontanandoci da una cultura che nell'ideologia di una protezione antropomorfa in realtà nega il cane. Questo è ancor più vero nel gatto, che poche persone conoscono a fondo e pretendono di trattare come un peluche. Le coccole compulsive sul gatto sono una forma di tortura, così come l'incapacità di capire che per il gatto lo spazio espressivo e la possibilità di ricavarsi una propria dimensione, senza essere asfissiato di richieste affettive, è la vera garanzia di benessere. Fonte: www.siua.it DAL WELFARE AL WELL BEING "...Molte persone non si rendono conto di maltrattare il proprio compagno eterospecifico attraverso coccole, carezze e cibo..." di Roberto Marchesini Quando la Commissione Brambell fu chiamata a stendere delle coordinate di welfare animale in risposta alle giuste critiche che il libro di Ruth Harrison, "Animal Machine" (1964), aveva mosso in merito a come venivano trattati gli animali all'interno degli allevamenti intensivi - situazione che non era cambiata quando trent'anni dopo pubblicavo il mio saggio "Oltre il muro" - era ovviamente concentrata sulle prassi di stabulazione e gestione degli animali cosiddetti da reddito, in una logica non di mettere in discussione dette pratiche ma di migliorare le condizioni di vita degli animali negli allevamenti. Per questo fu conseguente soffermarsi sulle necessità di base o "libertà fondamentali" che dovevano venir assicurate agli animali. Anche se i dettati del Brambell Report, pubblicato nel 1965, grazie all'intervento di esperti nel comportamento come W.H. Thorpe, non trovarono di fatto una traduzione, ciò nondimeno rappresentano per quegli anni una piccola rivoluzione, anche perchè tra le diverse libertà di ordine fisiologico s'inseriva specifico riferimento all'espressione delle caratteristiche etografiche. Purtroppo con il tempo si è andata consolidando l'idea che fosse sufficiente assicurare a un'animale uno stato di welfare (dieta sufficiente e adeguata, riparo da intemperie, assenza di stress o di malattie, libertà dalla sofferenza e dalla paura) per dare benessere ovvero che welfare e benessere fossero la stessa cosa. Se associamo tale lettura al pietismo zoofilo e all'antropomorfismo tipico della cultura urbana della seconda metà del Novecento, ecco che sinonimo di benessere è diventato assenza da qualunque sollecitazione problematica, in pratica una sorta di gabbia dorata all'interno della quale racchiudere l'eterospecifico. Questo paradosso è stato peraltro peggiorato dall'approccio animalista degli anni '80 che, pur importante nella discussione degli "interessi animali" e nella proposta di assegnare all'eterospecifico lo status di "paziente morale", si è concentrato soprattutto su coordinate normative di astensione (cosa non bisognava fare) piuttosto che definire delle coordinate propriamente prescrittive (cosa bisognava fare) per assicurare il benessere animale. Si è consolidata pertanto l'idea che per assicurare il benessere fosse utile ed esaustivo liberare il soggetto dai carichi del vivere, ossia allontanarlo da qualunque condizione di stress. Ma così facendo ci dimentichiamo che il benessere si gioca su un punto di equilibrio dinamico (non omeostatico) tra entrate, in termini di gratificazioni e appagamenti, ed uscite, in termini di fatica, stress e quant'altro. Dal momento che non è possibile azzerare nella vita di un individuo le uscite, giacché stress, frustrazioni e fatica fanno parte della vita, è evidente che privarlo di entrate significa che inevitabilmente, nel giro di poco tempo, il saldo va in perdita. Se fosse vero che basta togliere le uscite per assicurare benessere, una zebra dello zoo dovrebbe essere l'animale più felice di questa terra. Ha sempre cibo assicurato, può dissetarsi ad libitum, è libero da infezione e infestazioni, non si trova a sopportare sofferenza fisica o paura, elementi stressori sono, tutto sommato, pochi... tutte condizioni che in natura non potrebbe certo ritrovare. Se le cose stessero veramente così, mettendo ipoteticamente lo zoo in rapporto diretto con la savana, dovremmo aspettarci che tutte le zebre dalla savana si trasferiscano allo zoo. Viceversa, l'unica zebra dello zoo si dirigerebbe senza dubbio nella savana. Ciò significa che uno stato di welfare non compensa una mancanza di espressione delle coordinate specie specifiche. Una considerazione che era ben chiara anche ai primi etologi. Qualunque animale è disposto a sopportare fatica, stress, fluttuazioni emozionali e - mi azzardo a dire in tutta sincerità - anche un po' di sofferenza fisica, pur di vivere una vita piena, ovvero di poter raggiungere i target previsti dal suo assetto motivazionale (il concetto di gratificazione) e poter esprimere fino a sazietà (il concetto di appagamento) le sue coordinate motivazionali. Ecco allora che l'analisi motivazionale - ossia l'inerenza, vale a dire ciò che è "proprio di quel soggetto" in relazione alla specie, alla razza e all'individuo - sta al centro di quel benessere animale proattivo (basato sul fare e non sull'astenersi dal fare) che viene chiamato well being e che, senza antropomorfismo, potremmo chiamare felicità di specie, ovvero ciò che qualunque soggetto caratterizzato da quei predicati naturalmente sceglierebbe di fare, perché è nella sua natura, vale a dire risponde alle sue vocazioni e alle sue doti. Partendo dalle motivazioni è pertanto doveroso, se si vuole assicurare benessere, dare al soggetto l'opportunità di esprimerle in un contesto e in una serie di attività coerenti. Molte persone non si rendono conto di maltrattare il proprio compagno eterospecifico attraverso coccole, carezze e cibo, mettendolo sotto una campana di vetro e lasciandolo nell'inanizione espressiva. Come ho già scritto, antropomorfizzare non significa viziare ma maltrattare un eterospecifico. Quando poi ci rivolgiamo al cane - un animale per natura desideroso di operare e di collaborare - ecco che il pietismo diventa la forma più subdola di maltrattamento. Per un cane le coccole e le affettuosità rappresentano preliminari, utili per concertarsi, ma poi l'espressione gratificante e appagante sta in un non detto a parole che tuttavia è esplicito negli occhi del cane: "bene, ma allora... cosa facciamo?". Se non capiamo questo non comprendiamo il perché di gravi stati di disagio nell'apparente opulenza del quotidiano o il rischio di quelle derive comportamentali (che io evito di stigmatizzare in patologie) che caratterizzano i cani non rispettati nel loro etogramma e nelle loro disposizioni attitudinali. Il welfare tradizionale non compensa tali mancanze anzi, più diamo welfare più il soggetto si aspetta di vedere esauditi i suoi desideri ovvero le sue espressioni motivazionali. Non mi stupisce pertanto che i cani che stanno meglio sono quelli che, pur nella fatica e negli stress, fanno attività e fanno quelle attività coerenti con il loro assetto attitudinale. E' necessario pertanto rivedere gran parte della lettura del benessere e dell'interpretazione degli stati di disagio o delle derive, allontanandoci da una cultura che nell'ideologia di una protezione antropomorfa in realtà nega il cane. Questo è ancor più vero nel gatto, che poche persone conoscono a fondo e pretendono di trattare come un peluche. Le coccole compulsive sul gatto sono una forma di tortura, così come l'incapacità di capire che per il gatto lo spazio espressivo e la possibilità di ricavarsi una propria dimensione, senza essere asfissiato di richieste affettive, è la vera garanzia di benessere. Fonte: www.siua.it